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Pillole di meteorologiaDirettore Osservatorio Raffaelli2018-08-30T16:57:55+02:00

DIDATTICA A 360°


#osseevatorioraffaelli Conseguenze degli incendi boschivi sul terreno

Il fuoco brucia lo strato della lettiera e in parte anche lo strato di humus. In questo modo le pietre che affiorano alla superficie vengono destabilizzate. Già durante il passaggio di un incendio non è raro osservare che alcuni sassi instabili inizino a rotolare a valle. Le conseguenze più gravi di un incendio si verificano tuttavia solo dopo il passaggio del fuoco. La mancanza di copertura della vegetazione al suolo e di quella assicurata dalle chiome degli alberi fanno si che le gocce di pioggia possano impattare direttamente sul terreno nudo. In questo modo la struttura del terreno viene distrutta, fatto che può innescare fenomeni di erosione e di ruscellamento (vedi figura 1). Il suolo nudo asciuga più velocemente e la superficie del terreno diviene impermeabile all’acqua. La pioggia tende quindi a scorrere sulla superficie del suolo, creando nel terreno dei solchi erosivi (Marxer 2003).

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Acqua alta ad Ischia tra il 16 e 17 giugno 2014.

Il transito della perturbazione di metà giugno ha causato il rapido decremento della pressione atmosferica da circa 1019 hPa a circa 1007 hPa e il conseguente incremento del livello marino. Durante le alte maree tra il 16 e 17 giugno il livello marino è incrementato ed ha determinato l’invasione delle banchine basse del Porto di Ischia in Riva Destra e via Iasolino, come prevedibile e previsto, causando l’allagamento con alcuni centimetri di acqua. I disturbi sulla banchina, come sempre, sono aggravati dalle manovre dei natanti nella rada portuale.
E’ evidente la nota relazione tra la variazione della pressione atmosferica e quella del livello marino. Quando incrementa la pressione (ip) si ha un decremento del livello marino (dm).
Quanto avvenuto nel basso Tirreno nella metà di giugno 2014 evidenzia la prevedibilità del fenomeno dell’acqua alta nelle banchine basse, fuori norma, di Riva Destra e via Iasolino del Porto di Ischia.


Nubifragio del 16 Giugno 2014 a Napoli e confronto con Genova 4 Novembre 2011 e sistema di allerta

Nubifragio di circa 20 minuti su Napoli il giorno 16 giugno 2014 tra le 13,30 e le 14,10 circa: sono precipitati da 20 a 30 millimetri di pioggia.

A Genova nel 2011 cadde una pioggia simile per quattro ore.
Uno scenario simile può anche verificarsi a Napoli!
E gli amministratori stanno tranquilli aspettando il…cartellino rosso?

E per fortuna il cumulo nembo si è dissolto rapidamente. Gli studi eseguiti circa le criticità idrogeomorfologiche delle aree urbane di Napoli, Marano e Quarto ubicate attorno alla collina dei Camaldoli hanno evidenziato che una pioggia simile della durata di circa un’ora e mezza può causare l’esondazione del Vallone San Rocco, a monte dei Ponti Rossi dove l’alveo diventa una fognatura.
Si può verificare un evento simile a quello che accadde a Genova nel 2011 lungo il Rio Fereggiano quando l’esondazione causò l’invasione delle acque lungo le strade sotto alle quali scorreva il torrente con tragiche conseguenze.
La città è indifesa rispetto a questi eventi che si verificano sempre più spesso.
I cartellini gialli che la natura ci sta affidando non sono capiti dagli amministratori: ho già detto che il cartellino rosso non perdonerebbe.
Si devono mettere in sicurezza, almeno, i cittadini rispetto a questi fenomeni mettendo a punto un sistema di allarme idrogeologico immediato.
Ripropongo alcune immagini che illustrano le caratteristiche delle curve pluviometriche dei nubifragi rilasciati da cumulonembi che rendono precocemente individuabili i fenomeni consentendo l’emanazione di un allarme precoce con l’attivazione dei piani di protezione dei cittadini lungo le aree, già individuate, dove si potrebbe verificare lo scorrimento ed accumulo di acqua.
La prima immagine evidenzia le curve pluviometriche tipiche di disastrosi eventi recenti (A); il riquadro B evidenzia la curva pluviometrica dell’evento del 12 ottobre 2012 che provocò l’allagamento della stazione metro di Piazza Garibaldi. Il riquadro C illustra schematicamente una curva pluviometrica tipo di un nubifragio rilasciato da cumulonembo evidenziando l’intervallo in cui può essere emanato l’allarme idrogeologico immediato.

La seconda immagine illustra la curva pluviometrica dell’evento del 16 giugno 2014, simile a quelle degli altri eventi piovosi rilasciati da cumulonembi.

Nella terza immagine sono illustrati gli effetti molto particolari e preoccupanti delle raffiche di vento sulle tompagnature di alcuni edifici a Portici.


Gennaio 2014 ha fatto registrare anomalie importanti sia dal punto di vista delle temperature, particolarmente miti, che delle piogge, molto abbondanti (aree fucsia nella cartina), In particolare il fenomeno ha interessato le regioni tirreniche e quelle dell’Italia nord orientale. Queste analisi sono il frutto della collaborazione tra i centri meteorologici del Nord Italia (cui si è aggiunto recentemente anche il LaMMA) in seno al progetto ARCIS, progetto che ha l’obiettivo di costruire un database di dati climatologici giornalieri per il Nord Italia. Vedi: http://www.lamma.rete.toscana.it/news/gennaio-anomalo-tutta-italia
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LA DIFFICILE ARTE DELLE PREVISIONI METEO E DELLE RICADUTE SUL TERRITORIO


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Gennaio 2014 a livello globale è stato il 4° più caldo dal 1880 con un’anomalia di +0.65°C (terre emerse + oceani).
Il trend secolare per il mese in oggetto (linea retta scura) indica un aumento della temperatura di 0.67°C, mentre l’incremento decadale è pari a 0.07°C.
Dati e immagini by NCDC-NOAA

Una ricerca sino-francese misura gli effetti climatici del rimboschimento

Attento a dove pianti la foresta! Non sempre l’effetto della riforestazione sul clima è benefico: occorre misurare nel dettaglio le conseguenze, che mutano zona per zona Una strada taglia la foresta amazzonica nella Guiana francese di Stefano Lamorgese 25 febbraio 2014La Cina, l’inquinatissima Cina, è il paese leader nel mondo per la riforestazione, con circa 62 milioni di ettari rimboschiti nel 2008. Dopo le devastanti alluvioni verificatesi sul finire del secolo scorso, il governo di Pechino ha infatti cambiato del tutto atteggiamento nell’uso del suolo, favorendo e stimolando la rinascita del patrimonio forestale, per decenni trascurato.

Così oggi è possibile verificare i benefici di queste politiche applicate per più di un decennio sul territorio. E una ricerca sino-francese, che ha intrecciato dati rilevati sul terreno e dai satelliti, offre un primo bilancio, non privo di sorprese.

Shu-Shi Peng, ricercatore del Sino-French Institute for Earth System Science dell’Università di Pechino, ha firmato uno studio molto interessante: “Afforestation in China cools local land surface temperature” (La riforestazione in Cina raffredda la temperatura del suolo). Il team, composto anche da Shilong Piao (dell’Accademia delle scienze cinese) e da Philippe Ciais (del Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement di Gif sur Yvette, in Francia), ha valutato la modificazione dei microclimi nelle aree riforestate.

Le nuove foreste sono serbatoi di carbonio, accumulato nella biomassa degli alberi. Inoltre la copertura fogliare muta la capacità del suolo di riflettere la luce, modificando il valore dell’albedo (la luce riflessa). E, se l’albedo diminuisce il suolo si surriscalda, compensando l’effetto benefico dell’assorbimento del carbonio. Se invece aumenta, la terra si raffredda, incrementando l’effetto climalterante positivo sull’atmosfera.

L’albedo

Durante il giorno le aree rimboschite raffreddano la superficie di circa 1,1°C. Di notte provocano un aumento medio di 0,2°C. Detto in termini comprensibili: il raffreddamento diurno è il risultato di una maggiore evapotraspirazione, ma il
riscaldamento notturno aumenta con l’aumentare della latitudine (le giornate invernali più brevi), e diminuisce solo in misura proporzionale alla piovosità.

Avvertenza: la natura è un sistema complesso

Insomma: il rimboschimento nelle regioni aride e poco piovose genera un riscaldamento dell’atmosfera, pertanto è necessario considerare attentamente dove piantare alberi per realizzare i potenziali benefici climatici dei progetti di rimboschimento futuri.

Le foreste minacciate

Quando si pensa al cambiamento climatico in atto, spesso il pensiero va alla deforestazione. La vulgata ecologista – non senza ragioni – punta il dito verso l’industria del legname che depreda le foreste tropicali segando enormi tronchi profumati di legno pregiato. Oppure contro l’industria agroalimentare, che spazza via l’Amazzonia col fuoco per allevare futuri hamburger. O, ancora, i reprobi sono i produttori di biocarburanti, che azzerano foreste vergini per riempire i serbatoi di bioetanolo.

Tutto vero: il sito di Greepeace Italia – tra i tanti che si occupano del problema – certifica che href=”http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/foreste/Le-foreste-del-pianeta/#tab=5“>”Ogni due secondi viene
distrutta un’area di foreste grande quanto un campo da calcio”. Messa così, fa certamente effetto. E, facendo un po’ di conti, si riesce a individuare un metro di paragone per capirne il significato oggettivo.

Un campo di calcio misura – in media – 100 metri per 50: una superficie di 5000 mq. Passando dai secondi alle ore e poi ai giorni, otteniamo che – ogni giorno – scompaiono circa 260 chilometri quadrati di foresta: circa 100mila kmq l’anno. Una superficie pari a quattro volte quella della Sicilia, per intenderci.

Espressa nell’unità di misura che le agenzie internazionali utilizzano per valutare l’estensione delle foreste mondiali, è una superficie pari a 10 milioni di ettari. Ecco: ogni anno scompare un’area di foresta pari allo 0,25% dell’intero patrimonio forestale del pianeta Terra che, nel 2010, si estendeva su una superficie di 4 miliardi di ettari. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/attento-a-dove-pianti-la-foresta-637d0b82-0f66-4e6d-b656-e301d3f3fdfe.html?refresh_ce#sthash.5qtqMVkj.dpuf


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Nella figura è indicata l’anomalia della temperatura al suolo relativa alle ultime due settimane di febbraio, dal 10 al 23. Si nota che su quasi tutta l’Europa, ad eccezione di Portogallo, di parte della Spagna, dell’Irlanda e della Scozia, hanno nettamente prevalso temperature di gran lunga al di sopra della media del periodo che hanno plasmato, neanche a volerlo, una BOLLA CALDA PERFETTA che ha inglobato quasi tutto il nostro continente. Ancora una volta le anomalie più eclatanti, che si sono spinte fino a 6/8 °C oltre la norma, hanno riguardato quelle aree che quest’anno sono state più penalizzate da questo “non inverno”: una fra tutte l’area balcanica che non ha visto alcuna ondata di gelo a differenza della Russia e dell’area del Baltico dove episodi di freddo intenso non sono mancati, ma non sono riusciti a fare il… miracolo. Anche sull’Italia le anomalie positive sono state per lo più comprese tra i 2 ed i 4 °C. Insomma… un inverno in stile estate 2003 per intensità di anomalia raggiunta.

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L’ultima settimana dell’inverno meteorologico si apre con una giornata discreta su quasi tutta l’Italia, tra una circolazione di aria più fredda che ancora oggi porterà gli ultimi rovesci sulle estreme regioni meridionali ma che si esaurirà spostandosi verso l’Egeo ed il tentativo (vano) di una nuova perturbazione atlantica, la n.12 di febbraio, di farsi strada sul Mediterraneo occidentale al seguito di uno modestissimo promontorio anticiclonico che si allunga verso l’Europa centrale: si tratta di un pattern sinottico che ricalca la configurazione ad “omega” (bassa-alta-bassa), ma che verrà prontamente spazzato via da un nuovo impulso perturbato che si sta organizzando in Oceano Atlantico e che mercoledì entrerà sul Mediterraneo come perturbazione n.13 di febbraio, interessando dapprima il Nord e poi giovedì anche il Centro ed il Sud, dove insisterà probabilmente anche nella prima parte di venerdì. Sempre venerdì, un nuovo e più intenso peggioramento ad iniziare dal Nord Italia aprirà probabilmente una fase più perturbata, con la formazione di una conca depressionaria centrata proprio sulla nostra penisola e che sarà destinata a durare qualche giorno, alimentata da aria polare marittima che ci porterà condizioni tipiche del periodo. A scanso di equivoci: nulla che abbia a che vedere con un’ondata di freddo.

Nella carta del tempo, la previsione per la prossima notte del campo di pressione e delle superfici frontali: si veda come quel che resta della perturbazione n.11 abbandoni definitivamente le aree ioniche, come la perturbazione n.12 arrivi tra le Baleari ed il Nord Africa per poi dissolversi completamente e come la perturbazione n.13 riesca a… toccare terra sulle coste occidentali europee.


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Sembra confermata la formazione di una vasta conca di bassa pressione (saccatura) sul Mediterraneo centrale per sabato 1° marzo, primo giorno anche della primavera meteorologica. Questa configurazione sarebbe favorevole all’ingresso di aria più fredda (ma non eccessivamente!) da nord-ovest: alla quota isobarica di 850 hPa (circa 1500 metri), le temperature potrebbero essere di 2-3 °C inferiori alla media sulla Sardegna perché più esposta alle correnti nord-occidentali e di 1-3 °C superiori alla media sul versante adriatico ed al Sud, almeno inizialmente, perché su queste regioni la circolazione sarà dai quadranti meridionali. Maggiori dettagli in settimana…

PREVISIONI METEO SUL MEDITERRANEO: VARI CASI

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Per comprendere quanto sia complicato prevedere il tempo in area mediterranea è sufficiente elencare i casi che portano a condizioni meteorologiche che potrebbero evolvere in perturbate o molto perturbate. Ve le propongo illustrandole sommariamente dal punto di vista sinottico, in modo che si possa capire come ogni singolo caso rappresenti proprio un… pezzo della nostra meteorologia e della dinamica atmosferica che possiamo definire “made in Italy”. Cosa succede in linea di massima sul Mediterraneo, a seconda della direzione di provenienza delle perturbazioni e delle circolazioni depressionarie che nascono sul nostro bacino e che le accompagnano?

CASO 1 – Fronte atlantico da NW: si forma un minimo orografico secondario tra la Provenza ed il Golfo Ligure in movimento verso sud-est: la perturbazione “salta” il Nord-Ovest mentre interessa il Nord-Est ed il Centro-Sud, Isole comprese.

CASO 2 – Fronte mediterraneo da SW: si forma un minimo orografico secondario su Golfo del Leone o Baleari o ancora più a sud, a ridosso della catena dell’Atlante ma in movimento verso nord-est, se l’ondulazione della corrente a getto riesce ad affondare sulle coste occidentali del Nord Africa: la perturbazione interessa tutta l’Italia, partendo dai settori più occidentali, accompagnata da venti di libeccio che sostituiscono gradualmente quelli di scirocco.

CASO 3 – Fronte africano da S o SE: l’affondo di aria fredda sul Nord Africa genera un minimo depressionario sull’entroterra algerino o tunisino che si sposta poi verso nord/nord-est ma che spesso è ostacolato nel suo movimento verso levante a causa di un campo anticiclonico presente sui Balcani o l’est europeo: in questo caso si attivano forti venti di scirocco sull’Italia che portano piogge forti al Nord-Ovest se il minimo si avvicina dalle Baleari al Golfo del Leone; mentre sono interessate in modo particolare le regioni di Nord-Est, quelle tirreniche e quelle ioniche se il minimo risale allungandosi verso il Tirreno.

CASO 4 – Aria fredda da nord-est, sospinta da un forte campo anticiclonico sull’est europeo che alimenta una depressione al Sud Italia: la perturbazione interessa soprattutto il medio versante adriatico, il Sud peninsulare e la Sicilia, con le precipitazioni più consistenti sul versante adriatico (Marche, Abruzzo, Molise e Puglia);

CASO 5 – Fronte da Nord (dal Mare del Nord e dall’artico): si associa ad un minimo orografico secondario tra Mar Ligure o Tirreno settentrionale che comporta l’ingresso dell’aria fredda dalla Valle del Rodano: peggiora prima al Nord e poi al Centro-Sud man mano che il vortice ciclonico si muove verso sud-est;

CASO 6 – Instabilità non associata a perturbazioni bene organizzate e legata alla presenza di aria fredda in quota o anomalie di tropopausa (situazione più tipica in estate): in questo caso si hanno le condizioni per lo sviluppo di temporali diffusi, spesso anche di forte intensità.

Il CASO 3 è stato proprio quello che ci sta interessando in questi giorni. (28 GENNAIO – 2 FEBBRAIO 2014)


Il cambiamento climatico, il corraggio di buttarsi nella mischia

L´editoriale di Luca Mercalli sul numero di Ecoscienza dedicato al cambiamento del clima e alle strategie di adattamento e mitigazione.

(16/12/13) Il coraggio di buttarsi nella mischia  Editoriale Ecoscienza 5/2013

La prima impressione che ricevo scorrendo l’indice degli articoli di questo numero di Ecoscienza è di una enorme ricchezza in termini di conoscenza sui cambiamenti climatici e le loro conseguenze. Una vasta rappresentanza dei temi scottanti della nostra contemporaneità trattati con chiarezza e rigore, un elenco di autori che disvela un patrimonio di competenze e di istituzioni sia nazionali, sia internazionali che infonde ottimismo e spinge all’azione, sia pur di fronte all’imponenza delle sfide in ballo. Ma è una sensazione di breve durata, sostituita dallo scoraggiamento, nel constatare la distanza siderale che si frappone tra queste profonde riflessioni e l’indifferenza quotidiana della politica “alta”, della società, dell’informazione di massa.
E il sentimento terminale che ne emerge è la frustrazione: vedere di fronte a sé tutta la conoscenza bastante a evitare che processi ambientali irreversibili causati dalle attività umane possano compromettere il futuro della specie stessa, e non sapere come attirare verso di essa tutta l’attenzione e tutto l’impegno che tale circostanza necessiterebbe.

Constatare che esistono le professionalità per affrontare i problemi, ma che questo capitale umano e di sapere troppo spesso non viene coinvolto, se non marginalmente, nei processi decisionali, lasciati talvolta allo sbaraglio della politica incompetente e anche di amministratori distratti, o peggio ciarlatani e furfanti. Una frustrazione che mi deriva dall’esperienza di frequentare tre grandi campi: la ricerca, come paleoclimatologo alpino, l’informazione, come editorialista della carta stampata e della televisione, e il supporto alla politica, sia quella locale, sia quella europea, che mi ha portato a Bruxelles, grazie a un raro uomo politico sensibile, a formulare i contenuti per le regioni montane della strategia di adattamento comunitaria di cui si parla in queste pagine.

Mi sento in effetti sopraffatto dall’asimmetria di questi sforzi, condivisi ovviamente con la “nostra” piccola comunità scientifica, e la muraglia impenetrabile della realtà economica e sociale che guarda in un’altra direzione.
Avverto l’assurdità della mancanza di un dibattito continuo e costruttivo su argomenti fondamentali, che invece vengono evitati a priori, o liquidati con sufficienza, o addirittura osteggiati e combattuti con violenza.
Mi sento circondato da un irreale rumore di fondo che sopprime il flebile ma determinato allarme che giunge dalla scienza.
Sono consapevole che il modo di farlo pervenire alla società è complesso e forse ancora tutto da elaborare, con l’aiuto degli psicologi sociali, dei filosofi e degli antropologi: se lo si urla, infatti, non va bene, genera panico o l’effetto “al lupo, al lupo”, se lo si sussurra si perde nella mischia informativa, se lo si esplicita con i numeri e i ragionamenti razionali non viene compreso, se lo si spaccia con le emozioni non produce risposte durevoli. In questi ultimi vent’anni, si può dire che le abbiamo provate un po’ tutte, con risultati molto al di sotto delle aspettative e delle necessità.

Allora come fare, vista anche l’urgenza dell’azione? Provo a buttare sul foglio qualche idea.
Occorre a mio parere sfruttare con maggior incisività il potenziale cognitivo e l’autorevolezza dei tecnici e dei ricercatori del settore, tradizionalmente poco inclini a esporsi e a combattere nell’agone politico e sociale per l’affermazione delle proprie idee. Ogni singolo operatore può e deve assumere posizioni più risolute a partire dall’ambito che frequenta quotidianamente, dalla famiglia ai propri contatti professionali. Ha il dovere morale di informare, di dissipare dubbi, di fugare interpretazioni obsolete o errate, disintegrare luoghi comuni e costruire conoscenza, responsabilizzazione, attivismo. Esaurito l’ambito dei contatti diretti, può e deve spingersi nel territorio della politica e dell’informazione, inviando documenti e lettere alle redazioni e agli amministratori, segnalando aggiornamenti scientifici, criticando le purtroppo numerose scorrettezze, proponendo incontri pubblici popolari.
Se gli autori degli articoli di questo fascicolo portassero avanti attivamente questo impegno civile con continuità e dedizione (molti già lo fanno), vedremmo forse moltiplicarsi le occasioni di presa di coscienza e migliorare la qualità dell’informazione. Lo so che è un’operazione pesante, che risucchia molto del poco tempo di cui ognuno di noi dispone, frustrante per il basso ritorno immediato, complessa per il rispetto degli equilibri interni di ogni gruppo di lavoro o istituzione. Lo so che molti vorrebbero esprimersi, ma non possono farlo se non a titolo personale e senza coinvolgere la struttura di appartenenza, per la quale i livelli di filtro e di cautela sono spesso insuperabili.

Lo so che si arriva stanchi a casa alla sera e nel fine settimana non si vorrebbe pensare a scrivere a un quotidiano o a far lezione al consiglio di circoscrizione. Ma occuparsi di ricerca sul clima in questo momento storico implica un’elevata dose di etica da iniettare nella propria attività. L’autorevolezza e la credibilità che deriva dall’essere operatori competenti e detentori di curricula talora d’eccellenza, non deve essere sprecata limitandosi a impiegarla nel comodo bozzolo della letteratura di settore o delle pubblicazioni internazionali, che difficilmente verranno lette da un politico o da un imprenditore. Credo che sia necessario raccogliere il coraggio di buttarsi nella mischia, parlando continuamente delle scoperte del proprio mestiere al bar, in autobus, a cena, al circolo culturale o alla gita sociale. A costo di risultare in un primo tempo bizzarri e forse perfino fastidiosi, ma chi sente puzza di bruciato ha l’obbligo di farlo sapere, e invitare tutti a estinguere il principio d’incendio prima che avvampi indomito.

Queste pagine così fitte di dati dimostrano che abbiamo a disposizione tutto ciò che serve sul piano della conoscenza scientifica, ora tocca alla comunicazione capillare e pressante muovere un gran numero di (e)coscienze ad assumersi responsabilità individuali e collettive.

Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana

mercalli_editoriale_es_5_2013.pdf

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ecoscienza2013_5.pdf

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La Modellistica numerica e gli scenari del cambiamento. Silvio Gualdi, Alessio Bellucci, (Cmcc)
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Usare bene i fondi europei con il Patto dei sindaci. Emanuele Burgin, Provincia di Bologna
La rete delle città per conoscere e agire. Daniela Luise, Coordinamento delle Agende 21 locali italiane
Bologna città resiliente. Piero Pelizzaro,  Clementina Taliento (Kyoto Club), Lucio Botarelli (Arpa Emilia Romagna)
Autonomie locali e fondi europei per l’adattamento. Karl-Ludwig Schibel, Alleanza per il clima Italia onlus
Azioni a livello locale, il progetto life act. Francesca Giordano, Alessio Capriolo, Rosanna Mascolo, Domenico Gaudioso (Ispra)
Investiamo per creare comunità resilienti. Paola Gazzolo, Regione Emilia-Romagna
Reindirizzare l’economia con i fondi europei. Giuseppe Bortone, Regione Emilia-Romagna
Il “restauro italiano”, una grande opportunità. Mirko Tutino, Provincia di Reggio Emilia
L’auto elettrica in Italia, e pur si muove. Ilaria Bergamaschini, Green Management Institute
Rischi e opportunità per l’Emilia-Romagna. Paolo Cagnoli, Michele Sansoni, Franco Zinoni (Arpa Emilia-Romagna)
Buoni risultati dagli incentivi al trasporto ferroviario. Tommaso Simeoni, Regione Emilia-Romagna

Associazione di Promozione Sociale
Osservatorio Meteorologico, Agrario, Geologico
Prof. Don Gian Carlo Raffaelli
Fondato nel 1883

Sede Legale ed Operativa n°I: Casarza Ligure – Bargone Via Reccio n°33 – 16030

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